'O Velho Chico' - Il Fiume São Francisco |
Prima di iniziare questo percorso di mobilità internazionale misto (di studio e tirocinio all'estero) mi sono posta degli
obiettivi, sia professionali, sia personali, raggruppati in tre aree:
SAPERE:
- Acquisire conoscenze sulla realtà della semilibertà;
- Conoscere l’istituzione in cui andrò a fare tirocinio, FUNDAC CASE: i fondamenti metodologici, la visione pedagogica, gli scopi della struttura, nel contesto sociale in cui è inserita;
- Approfondire la conoscenza delle altre figure professionali presenti nella struttura;
SAPER FARE
- Saper applicare le conoscenze che andrò ad acquisire all’università durante le attività pratiche;
- Apprendere il lavoro collaborativo e cooperativo con l’équipe della struttura;
- Imparare a fare un progetto educativo personalizzato;
- Imparare a identificare le potenzialità i punti di forza e debolezza, di ogni ragazzo;
SAPER ESSERE
- Essere in grado di creare una relazione educativa basata sull’equilibrio tra empatia e autorevolezza
- Imparare il coinvolgimento e il distacco emozionale
- - Comprendere i miei limiti e le mie potenzialità, per superare le paure e i rischi connessi alla relazione educativa.
Equipe CASE Gey Espinheira, Juazeiro-BA |
Li ho sviluppati durante la mia esperienza di studio al Corso di Pedagogia al DCH, Campus III dell'Università dello Stato della Bahia (UNEB) e durante la mia esperienza di tirocinio al CASE Gey Espinheira di Juazeiro-BA, una casa di semilibertà che ospita minori in
conflitto con la legge. Principalmente ho affiancato l’equipe, seguendo i
ragazzi nella loro routine quotidiana, cercando di mettere in pratica tutto ciò
che ho appreso nel mio percorso accademico e che ho studiato soltanto sui
libri. E’ stata dura per me riuscire ad affrontare quest’esperienza, a partire
dal fatto che lavorare in un contesto simile, fosse una tra le mie “prime
volte”.
Equipe INTEREURISLAND 2017 |
Il sostegno che ritengo più importante è arrivato dai focus group con il coordinatore del progetto, Nicola Andrian, durante i quali mi trovavo a riflettere sulla mia esperienza in maniera così profonda da rendere quei momenti una risorsa imprescindibile per me: dal punto di vista professionale, apprendendo quella riflessione che permette di ripensare alle proprie azioni in maniera critica, arrivando alla circolarità tra pratica e teoria; dal punto di vista umano, permettendomi di guardare tutto quello che avevo sentito, scoprendo di provare mille emozioni diverse anche in un’azione soltanto.
Tra tutti i miei obiettivi quello su cui ho lavorato di più,
è stato quello di imparare a gestire le mie emozioni, di conoscerle, sia nel
mio lavoro sia nella mia vita di tutti i giorni.
Chapada Diamantina, Bahia, Brasile |
La prima emozione che ricordo dall’inizio di questa avventura è stata la Felicità di sapere che sarei partita e che non sarei stata sola, ma con due mie compagne, Ilaria A. e Selena G.. La felicità di poter fare quello che ho sempre desiderato, lavorare con i minori. Ho provato felicità quando i “miei” ragazzi dicevano che gli sarei mancata, perché significa che qualcosa di buono ho lasciato. Sono stata felice ancora quando ho trovato una torta preparata dai ragazzi per il mio compleanno, quando ho attraversato un ruscello in sella ad un cavallo, quando ho ballato forrò senza riuscirci troppo bene o quando, la sera, passavo in rassegna tutto quello che era andato bene quel giorno.
Paura: quest’ emozione è stata per me molto intensa in quel periodo. Ho avuto paura di non riuscire a spiegarmi con il mio portoghese affannato o peggio, di essere fraintesa. Ho avuto paura di non essere all’altezza delle mie aspettative, di non riuscire a fare quello che volevo fare. È successo: in alcuni momenti sono caduta, sono inciampata sui miei molti errori, a volte evitabili, altre volte no. Mi sono fatta male, ho sofferto, ho pianto ma sono sempre riuscita a rimettermi in sesto, la maggior parte delle volte grazie all’aiuto di qualcuno. Ho avuto paura quando mi sono trovata per la prima volta davanti ad un gruppo si studenti della UNEB, miei coetanei che mi chiamavano “professoressa”, durante le attività interculturali e il corso di lingua e cultura italiane, o quando mi invitavano a parlare davanti ad un pubblico che aspettava solo di sentire il mio discorso. Ho imparato ad ascoltare quest’emozione: per me ha significato il dover mettermi alla prova, e questo contesto me lo ha permesso. Permette di sbagliare e di riprovarci quando è possibile, perché sono partita per questo, per imparare.
Rabbia: ho provato rabbia per un imprevisto non atteso, per un appuntamento spostato all’ultimo, perchè volevo mangiare la pizza e nessuno veniva con me. Ma la più grande rabbia l’ho provata nei miei confronti, perché ho fatto scelte stupide, perché non ho avuto abbastanza coraggio, perché mi sono lasciata trascinare da emozioni che avrei dovuto prima soppesare, perché non ho riflettuto abbastanza prima di decidere qualcosa, e perché a volte ho riflettuto troppo e non sono stata capace di cogliere un’occasione unica. Ma ho anche provato la rabbia che ti fa tirar fuori i denti, quella che mi ha spinto ad andare oltre, anche quando volevo solo metterti in un angolo e aspettare che il tempo aggiustasse le cose al posto mio.
Tristezza: i saluti, la parte più dolorosa. Per la prima
volta saluto qualcuno con la consapevolezza che probabilmente non lo rivedrò
più. Sono stata triste quando ho salutato l’èquipe con cui ho lavorato e i miei
ragazzi, augurandogli ogni fortuna.
Tutte queste emozioni sono state un turbinio di pensieri, a volte mi sembrava di provarle tutte insieme, altre invece una prendeva il sopravvento e mi avvolgeva completamente. Mi piaceva pensarle come una bolla tra le mie mani: non posso lasciarle andare, ma devo stare attenta a non stringere troppo; e non posso far altro che ringraziare tutti coloro che durante questi mesi mi hanno insegnato a trovare quest’equilibrio, dalle mie compagne, al Prof. Andrian, ai miei ragazzi.
Ho imparato tanto, molto di più di quello che ho studiato,
molto di più di quello che mi era stato proposto. Come futura educatrice ho
imparato come ci sente quando un educando rifiuta la tua proposta, quando non
vuole entrare in relazione con te. Perché accade. Ho imparato ad ascoltare, a
fare silenzio, a tenere la bocca chiusa e il cuore aperto. Ho imparato che non
posso pensare con la testa degli altri e l’unica via è l’ascolto, quello
empatico che ci viene insegnato all’università, che è così facile da spiegare
quanto è difficile da mettere in pratica. Ho imparato ad ascoltarmi: io sono le
mie emozioni e tutto quello che provo, in ogni singolo istante, e solo così
posso pensare di riuscire ad affrontare il lavoro che ho scelto, che comporta
il coinvolgimento totale del mio essere.
Chiara Zanchetto
Corso di Studio in Scienze dell'Educazione e della Formazione, FISPPA, UNIPD, sede di Rovigo.
Corso di Studio in Scienze dell'Educazione e della Formazione, FISPPA, UNIPD, sede di Rovigo.
Con la Direttrice del DCH UNEB Prof.ssa Marcia Guena e Nicola Andrian |
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